Se effettuate al fine di precostituirsi una prova a difesa, le registrazioni di conversazioni tra un dipendente ed i suoi colleghi (senza il consenso di questi) possono determinare un licenziamento disciplinare?
La Corte di Cassazione ha chiarito come si possa prescindere dal consenso dell’interessato quando il trattamento dei dati, pur non riguardanti una parte del giudizio in cui la produzione venga eseguita, sia necessario per far valere o difendere un diritto, a condizione che essi siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento.
Ne consegue che l’utilizzo, a fini difensivi, di registrazioni di colloqui tra il dipendente ed i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, in ragione dell’imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza, da una parte, e della tutela giurisdizionale del diritto, dall’altra.
Si è affermata, quindi, la legittimità – ossia l’inidoneità all’integrazione di un illecito disciplinare – della condotta del lavoratore che abbia effettuato tali registrazioni per tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la stessa alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto.
Pertanto, la condotta di registrazione d’una conversazione tra presenti, ove rispondente alle necessità conseguenti al legittimo esercizio del diritto di difesa, non può di per sé integrare un illecito disciplinare, dovendosi procedere al bilanciamento tra la tutela di diritti fondamentali, come sopra già esposto.
(Cass. Civ., Sez. lav., n.28398 del 29/09/2022)